Somnium

È successo la scorsa notte.

Sarebbe inesatto dire: “non ho dormito”. Ma il mio riposo è stato tutt’altro che calmo, tranquillo.

A una qualche ora della notte mi sono ritrovato in uno stato di coscienza, limitata ma lucida.

Non sapevo dov’ero, ma la mia percezione non si concentrava tanto sulla mia presenza fisica, il suo rapporto con lo spazio circostante, o con le altre persone nella stanza.

Sapevo o non sapevo (percepivo o non percepivo?) della presenza di mia moglie o di mia figlia?

Non ricordo, anche se a posteriori, oggi, sarei più propenso a dire che sì, sottotraccia a questo stato di coscienza sapevo dov’ero (nella nostra camera da letto) e con chi.

 

Per lo più questo stato di coscienza si concentrava sullo stato di coscienza stesso. Non proprio: il mio io era in analisi del rapporto con il mio sonno.

In quel lasso di tempo (quanto lungo o breve sia stato, è inutile dire che non lo saprei dire) la mia coscienza si è soffermata a capire, a cercare di decifrare quello che era il mio stato di semi-veglia.

tale riflessione ha preso la forma di una visione.

Ho avuto un’immagine, nitida, limpida ed illuminante. Quasi una metafora elaborata dal mio io per comunicarmi quello che mi stava avvenendo.

Curiosamente, mentre io vedevo questa immagine, questa immagine era ciò che mi stava avvenendo, nel mio sonno- non sonno.

 

Ho percepito una superficie dura, estesa, scura. Ciò che più si avvicina a quello che ho percepito è il vetro. Questa superficie era inclinata, e il mio io ne stava al di sopra.

Ora, la superficie non era come una lastra di vetro, e basta. Era la parte esterna, superiore, superficiale di qualcosa, un qualcosa a metà strada tra un luogo e una sostanza.

Da sveglio, l’immagine più semplice che trovo per descrivere questa dualità luogo- sostanza è quella del mare. Mi vengono in mente le riprese di certi documentari marini, in cui la camera indugia per qualche istante giusto al pelo dell’acqua, riprendendo ora lo spazio aereo al di sopra del mare, ora invece appena al di sotto della superficie.

La lastra, dicevo della lastra. Ecco, immaginate per un attimo che il mare sia perfettamente liscio e compatto, e che l’estensione della sua superficie a contatto con l’aria soprastante abbia una diversa compattezza, per qualche centimetro. La materia è la medesima, ma addensata in una compattezza differente. Con un’immagine più familiare, mi viene in mente la pellicola esterna di un budino.

Questo luogo-sostanza sottostante era il mio sonno, il sonno profondo, quello in cui si perde definitivamente coscienza di se e ci si abbandona al dilagare delle percezioni oniriche.

 

Il mio io aleggiava dunque al di sopra di questa superficie inclinata. Lo visualizzavo come un vettore, una freccia che cerca di penetrare la superficie, di passare dal luogo “al di sopra” per entrare “all’interno”.

Scontrandosi con la durezza del vetro, il mio io ne risultava respinto. Aleggiava quindi indefinitamente in questo stato di semi coscienza, senza poter sprofondare nelle profondità del sonno.

Quanto sia durato tutto questo, non lo so. Non ricordo neppure come sia finito. Immagino di essere poi riuscito ad addormentarmi, ma a quel punto non ho più “visto” nulla. Ero già fuor di metafora, quando mi sono addormentato, non ho potuto apprezzare il momento in cui la superficie inclinata si è lasciata attraversare.

Al mattino, ricordavo ancora tutto nitidamente.