Il testimonial

Bruegel il Vecchio, La parabola dei ciechi <br/>1568, Napoli, Galleria Nazionale di Capodimonte
Bruegel il Vecchio, La parabola dei ciechi 1568, Napoli, Galleria Nazionale di Capodimonte

È piacevole ogni tanto, durante il lavoro, trovare un collegamento con qualche teoria di quelle che all’università ti fanno girare la testa.

Il testimonial, tanto utilizzato nella comunicazione pubblicitaria ai giorni nostri, dimostra una chiara giustificazione teorica nel contesto più ampio delle semiotica del testo visivo.
Infatti, si può ritenere che il testimonial non sia altro che un simulacro dell’osservatore all’interno del testo, e quindi all’interno della narrazione, del racconto istituito.
Andiamo con ordine.
Il testimonial, (che non sempre è il calciatore famoso, o il personaggio pubblico. parliamo di testimonial anche quando semplicemente compare un personaggio ad accompagnarsi al prodotto che si vuole promuovere) persa un po’ per strada la sua funzione di testimone delle incredibili doti del prodotto, rappresenta più semplicemente in target a cui il prodotto si rivolge.
Se vediamo la pubblicità di un’auto sportiva, troveremo facilmente che a guidarle nello spot è un uomo giovane. Se lo spot è quello di una auto da città, è più facile che ci sia una ragazza. La Mercedes ha utilizzato in passato più facilmente anche uomini decisamente maturi. Questo perché nella comunicazione il testimonial deve attirare il target (della comunicazione e del prodotto). Tale attrazione avviene attraverso il processo del riconoscimento: il target si riconosce nel testimonial, e quindi è più disposto ad accettare l’idea che possa condividere le sue emozioni, esperienze, aspirazioni, esigenze.
Ecco quindi che il testimonial viene utilizzato come una sorta di proiezione del target, dell’osservatore, all’interno del messaggio, quindi nel testo.
Strategie di istituzione di un punto di vista interno sono una prassi comune del linguaggio pittorico. Penso ad esempio ad un quadro di Bruegel il Vecchio, La parabola dei ciechi, (1568, Napoli, Galleria Nazionale di Capodimonte).
Qui è lo sguardo (!!!) del cieco che sta per seguire il primo, già caduto nel fosso, che guardandoci, ci porta con forza all’interno del racconto, e ci porta giusto nel punto di catastrofe, tra l’essere ancora in piedi e l’essere già nel fosso.
Portandoci all’interno del quadro, in quel punto, anche l’osservatore diventa un cieco dietro ad un altro.

Il testimonial, con un’altra strategia, magari di volta in volta differente, ci porta ugualmente all’interno del racconto: posizione nella quale diventiamo particolarmente attenti e ricettivi a quanto sta per essere enunciato.