Servizio pubblico

Siamo sicuri che sia giustificabile che la Rai paghi una bella cifra un sessantenne dislessico solo per vendere a più caro prezzo alcuni spazi pubblicitari?
Che Mediaset corra dietro al bonolis di turno, non mi importa poi tanto: non lo paga coi soldi miei. E sconta sulla propria pelle se poi per accidente bonolis e il calcio non interessano abbastanza milioni di italiani.
Ma che la Rai adotti la stessa logica, no, questo non mi va.
Se si parla tanto del periodo di crisi, e lo sappiamo tutti che i soldini che abbiamo in tasca non ci bastano, che senso ha approvare che i nostri soldi dati alla Rai, servizio pubblico, finiscano per finanziare dei monologhi traballanti? Monologhi densi di luoghi comuni. Che vengono spacciati per momenti di libertà assoluta, ma che sono semplicemente elucubrazioni di un pensionabile.
Vogliamo fare servizio pubblico? Vogliamo sul serio stimolare una consapevolezza negli spettatori, nei cittadini?
Che si finanzino dei documentari, nati dalla gente che vive nelle borgate, nelle zone poco sviluppate, nelle realtà rurali che ancora permangono.
Facciamo sì che i nostri soldi servano per avere vera informazione.
Sono stufo di vedere dieci minuti di monologo-luogo comune, inframmezzato da una canzone di trent’anni fa e la solita signorina ammiccante. Non me ne faccio niente.
E sono convinto che se abituassimo la gente al meglio, a qualcosa di meglio, anche la casalinga di Voghera non guarderebbe più il celentano di turno.