Star Wars – o della mancanza di umiltà

Quando ero piccolo c’era un film che aveva un’aura quasi sacrale, un film da guardare col fiato sospeso, affascinati dal mondo oscuro eppure vicino che metteva davanti ai nostri occhi.
Un film che ancora negli anni Ottanta, e fino ai Novanta teneva inchiodati allo schermo anche gli adulti.
Star Wars.
Già un film che cominciava con una musica epica annunciandosi come Quarto episodio, quando ancora eravamo convinti che fosse il primo, prometteva e manteneva di costruire un mondo molto più vasto dello schermo, molto più eterno di quelle due ore di pellicola.
Quei primi tre film, pur non avendo nel complesso la perfezione del primo, erano una Trilogia degna di passare alla storia. Opera d’arte di un regista-sognatore, ideatore di una saga potenzialmente imperitura.

Eppure. Il tarlo della presunzione, il credersi in grado di creare un’altra storia, come se in realtà non fossimo solo strumenti di una saga che ha deciso autonomamente di trovare forma e comunicazione. Un tarlo che vince ogni umiltà. E che porta non solo a creare tre antefatti, evidentemente previsti sin dall’inizio, ma a toccare il girato dei tre episodi cardine, quelli antichi: rovinando tutto, togliendo coerenza, bruciando la poesia.