Quale la vera Italia?

Abito in un città del nordest, quasi 40.000 abitanti. Tanto terziario, un po’ di industria, ma non troppa, per non sottrarre terra preziosa alla vite. In collina i filari si susseguono ordinati.
Le strade che la collegano al resto della provincia sono sempre asfaltate di fresco, le strisce ridipinte, i paracarri sostituiti se divelti. Le case fatiscenti, ormai, sono un ricordo. Ne rimaneva ancora qualcuna, curiosamente in centro. Ora sono palazzi signorili, in vendita a cifre non comuni.

Da trent’anni circa questo è il mio paesaggio, il mio quotidiano.
Credevo che questa fosse, con differenze tutto sommato trascurabili, una situazione comune, diffusa in tutta Italia.
Pensavo insomma di vivere in un luogo rappresentativo, per una buona percentuale, dell’Italia nel suo complesso.

Invece.
Comincio a sospettare – le ultime trasferte mi hanno instillato il dubbio – che la vera Italia sia un’altra.
Che non sia fatta – per la maggior parte – di città grandi, concentrazioni urbane stese disordinatamente su un territorio, che non è più tale, non territorio ma distesa di cemento.
Non sia questa.
Sia fatta piuttosto di quei piccoli paesi che si vedono un poco discosti, ai lati delle autostrade: lontani e irraggiungibili, perché distanti dalla prossima uscita.
Quei paesi che vedi arroccati su colline brulle, o bruciate. Paesi fatti di case che si stringono una addosso all’altra, quasi fossero le pecore di un gregge che si riparano dal freddo.
Paesi che per raggiungerli percorri strade nascoste tra le sterpaglie, fatte di dossi e buche, di curve e di stese differenti di asfalti.
Dove vive la maggior parte degli Italiani? Qual è il suo quotidiano?
Pordenone o Arquata del Tronto? Milano o Acquasparta? Napoli o Santo Stefano di Sessanio? Peschiera del Garda o San Pio delle Camere?