Riflessioni del ritorno

I greci antichi li chiamavano nostoi.
Nostos in greco significa ritorno, e nostoi erano i racconti epici che raccontavano le avventure e i travagli degli eroi di ritorno dalla guerra di Troia.
Fin dall’antichità  dunque il viaggio e il racconto vanno a braccetto.
È innegabile che l’uomo in viaggio sia spinto al pensiero, e il pensiero si organizza diversamente in viaggio da come farebbe se fosse stanziale.
Anche il viaggio più banale porta al pensiero.
Non c’è nulla di eroico nel tragitto che mi porta dal lavoro a casa, ogni sera. (O forse sì; ma questo è tutt’altro argomento.)
Eppure si pensa, si riflette, si segue un filo magari distratto, ma ordinato e tale da avere un inizio ed una fine.
Un ragionamento che si modifica anche in ragione di eventi esterni, di oggetti del mondo che entrano nel campo visivo del pensiero stesso. Florenskij parla di qualcosa di simile a proposito del sogno, ne Le porte regali.
Sarebbe splendido accostare l’esposizione di un pensiero del ritorno alle immagini che si possono osservare lungo il tragitto fisico, sulla strada verso casa.

Oggi è stata la prima giornata di primavera oggettiva.
C’era aria limpida, cielo terso e sereno. Poche nuvole, bianche e compatte. Blu, assoluto, il resto.
E nella campagna intorno, alla base delle colline c’era la netta percezione della superficie terrestre, e del limite che unisce e separa cielo e terra. Colline che si compenetrano all’aria limpida. E quasi percepivi la curvatura della Terra.

Che cosa ci fa in mezzo a tutto questo un uomo?