Porte chiuse

Quella di giocare le prossime partite a porte chiuse, laddove gli stadi non abbiano sufficienti caratteistiche di sicurezza, probabilmente è una buona idea. Momentanea. Palliativa.
D’altronde gli scontri si verificano spesso fuori dagli stadi.
Queste quindi sono soluzioni sintomatiche, che non fanno altro che cercare di allontanare effetti deleteri, di cause che, giocando a porte chiuse, neppure vengono sfiorate.

Cova nei petti dei tifosi un odio che non si sopisce permanentemente con qualche domenica senza calcio, con qualche uscita di sicurezza in più, con più agenti negli stadi.
È qualcosa di più profondo, cause sociali verrebbe da dire, e non per giustificare, assolutamente penso che prima della società c’è una scelta individuale a monte di ogni violenza. È l’individuo che – in ogni condizione – sceglie, decide se usare violenza o meno, se delinquere o meno.
Dico però che l’ambiente non aiuta.
E fermiamoci al solo ambito clacistico. Trasformato in un pallido simulacro di un evento sportivo, questo spettacolo viene nutrito e fomentato di violenza, di emozioni fittizie ma pompate al massimo. Quel che avviene in campo, viene ribattuto e amplificato dalle mille trasmissioni della domenica sera. In un crescendo di toni, si consuma un triste spettacolo: una messa in scena di violenza che sopravanza violenza, e le vene si gonfiano per sostenere nulla e il contrario di nulla.
Squallidi personaggi popolano questo ambiente.
Personaggi che il sistema stesso riconosce come deleteri, ma di cui necessita per alimentare ultriormente il fuoco dello spettacolo.
Moggi, prima demone da rigettare, ora ospite fisso di trasmissioni calcistiche.
Matarrese, irresponsabile uomo dalle parole inutili e cieche.
In questo sistema la giustizia non ha credibilità, se alle squadre coinvolte negli scandali, la pena è stata via via diminuita.

Spegniamo i riflettori sul calcio.